L'umore degli imprenditori è sospeso tra l'ansia di un riscatto, morale ed economico, e la consapevolezza della gravità di una crisi che investe più piani e che impone prudenza.
Una parte della platea degli operatori comincia a manifestare una certa rassegnazione: è in questa sfera che si colgono con maggiore vigore i desideri di espatriare con l'azienda e con la famiglia, la volontà di chiudere l'attività o di cederla. Anche tra queste persone che hanno o avrebbero deciso di mollare la spugna non c'è la rinuncia all'attività imprenditoriale e alla richiesta di investimenti: c'è solo la voglia di riallocare gli asset produttivi su aree geografiche più ospitali e più promettenti. Come già anticipato in un precedente bollettino di Ifiit, è in aumento il numero delle società che trasferiscono la loro sede legale all'estero continuando ad operare in Italia ma solo sulla base di ridotte capacità dimensionali. Anche in questi segmenti la spinta all'innovazione tecnologica resta alta, se non addirittura più alta, in quanto le imprese cercano di tagliare i costi fissi per tornare a migliori livelli di profittabilità: la contrazione degli spazi produttivi e degli addetti – con la conseguente riduzione della tassazione e degli oneri burocratici e fiscali – consente ad alcuni gruppi di poter operare con un livello maggiore di serenità. Alcuni gruppi tessili e metalmeccanici hanno portato all'estero anche la parte strategica e di marketing per le attività all'estero, relegando sul suolo italiano le sole competenze territoriali adatte ad un mercato in traiettoria statica se non declinante
In questo clima si presenta con drammatica evidenza la sfida che gli imprenditori sono chiamati ad affrontare. E che si condensa nella semplice ma intricata domanda: come sarà possibile continuare a produrre in Italia? L'aumento delle tasse, il calo dei consumi, l'ombra di possibili e nuove manovre correttive, oltre al rischio di nuove e incombenti incertezze inducono molti titolari d'impresa ad una maggiore cautela, se non diffidenza. In questa fase vengono salutate come innovative le scelte di una maggiore automatizzazione degli impianti e le banche vedono con maggiore simpatia le richieste di finanziamenti per nuovi processi produttivi che prevedano tagli organizzativi. In tal senso, mentre la politica e i sindacati sono alla ricerca di un modello di "crescita" che sappia creare occupazione, il sistema del credito sembra strizzare l'occhiolino ai progetti che invece riducano drasticamente i costi, quindi anche e soprattutto quelli occupazionali. Ne emerge uno scenario complesso, a tinte chiaroscure, dove la propensione agli investimenti in innovazione è funzionale non al rinnovamento e all'evoluzione dei modelli organizzativi, ma alla loro rivoluzione. Molto probabilmente ci troviamo alla vigilia di un cambiamento significativo e potente delle stesse logiche di creazione dell'impresa, con una più spiccata attenzione verso i budget e la contabilità piuttosto che verso le strategie. La mentalità della spending review su cui sta lavorando il governo per imprimere un cambiamento nei comportamenti degli italiani sembra avere inevitabili effetti anche sull'orientamento delle industrie e delle società di servizio che, con ogni probabilità, insisteranno di più sulle competenze dei direttori finanziari e dei responsabili degli uffici acquisto che non su quelle del marketing. E' anzi probabile che, oltre ai tagli produttivi, vengano ridisegnate anche le reti commerciali e distributive, al fine di ottenere una maggiore efficienza generale.
Paolo Gila Testo tratto dalla analisi del primo trimestre 2012 di IFIIT, indice di fiducia sugli investimenti in innovazione tecnologica
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