Gartner ha individuato cinque "miti" che possono far fallire le iniziative di collaborazione.
"Ci sono cinque miti che possono far fallire le iniziative di collaborazione. Invece di rendere la tecnologia il punto di partenza, i responsabili IT deve prima individuare i problemi di business reali e i KPI collegati agli obiettivi di business".
I punti presi in considerazione da Gartner sono:
1. Gli strumenti giusti ci renderanno collaborativi 2. La collaborazione è di per sé una cosa buona 3. La collaborazione richiede impegno di tempo 4. Le persone sono o non sono naturalmente collaborative 5. Le persone sanno istintivamente come collaborare .
In particolare al punto 4) Gartner pensa che la maggior parte delle persone si trovano nella ipotetica mediana di questa distribuzione della propensione naturale a collaborare e possono essere incoraggiate a collaborare nelle giuste condizioni. I responsabili IT dovrebbero ignorare la minoranza riluttante e lavorare sulla motivazione della maggioranza degli addetti che possono essere persuasi a collaborare quando le aspettative sono chiare ed i comportamenti collaborativi sono premiati.
Il commento riportato dal blog di Cisco conclude con la seguente considerazione.
L'unico modo per promuovere uno spirito di collaborazione è attraverso l'esempio. I Leader devono lavorare insieme per definire gli obiettivi orizzontali e comunicare tali obiettivi verso il basso attraverso la loro organizzazione. Devono riconoscere e premiare coloro che collaborano e modificare il comportamento di coloro che non lo fanno. Solo in questo modo sarà più facile collaborare, ma anche più efficace.
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Commenti. • "Sono perfettamente d’accordo a metà con Gartner … L’analista fa uno strano mestiere: quanto un ceto numero di fatti sono già accaduti elabora una teoria che piega perché sono accaduti. Certo, può essere utile per chi ancora non si è cimentato a prevedere l’esito del suo agire, ma non è certo attraverso di esse (che sono giustificate dai fatti stessi che hanno analizzato … in pratica sono tautologicamente vere! E se trovi un contro esempio, chissà perché, non è mai rappresentativo…) che si capisce quale sarà il “prossimo fabbisogno”. Sarebbe come trovare il “numero primo successivo” mediante una funzione. Non ce n’è: bisogna conoscere tutti i precedenti e provare e riprovare. Le iniziative che hanno successo sono quelle che colmano un bisogno diffuso ed inespresso. Inespresso, perché se fosse espresso tutti saprebbero, e non ci sarebbe un vantaggio competitivo nell’intuire, solo la gestione della produzione di una commodity. Diffuso perché senza massa critica, non si esce dal “prodotto di nicchia” Colmano, nel senso che non fanno niente di meno, ma nemmeno niente di più, se no sarebbero viste come un inutile lusso e un costo non necessario. Ma di fronte a qualcosa di inespresso serve intuito, non analisi, visto che non c’è nulla ancora da analizzare. La necessità di collaborare è ancora un “bisogno inespresso”, che cozza palesemente con l’accezione tailoristica che partorisce le organizzazioni aziendali (che non a caso sono gerarchiche: quancuno pensa “a priori” il processo produttivo e il sistema di controllo e ne definisce ruoli e relazioni), attenendosi alle quali non c’è “socializzazione spontanea” che tenga. Ma questo modo di fare è nato prima che esistessero i motori di ricerca e una base di conoscenza condivisibile e –soprattutto- facilmente accessibile. La collaborazione basata sulle reti sociali parte dall’dea che ognuno sa trovare da sé la competenza di cui ha bisogno, se i “competenti” hanno reso disponibile qualcosa che può essere trovato, attraverso il quale poterli identificare. Quando questo sarà accettato ed assimilato da una sufficiente “massa critica”, l’UCC si modellerà automaticamente su di essa. E’ solo software: prende la forma che serve per selezione naturale, non per teoria o analisi". Emilio Garavaglia
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