Secondo la ricerca Randstad Workmonitor l’87% degli intervistati lavorerebbe più volentieri in un’azienda che fa della responsabilità sociale d’impresa il suo cavallo di battaglia. Il 57%, invece, afferma che durante una ricerca di lavoro pone molto attenzione all’anima sociale dell’azienda prima dell’invio del curriculum.
Gli italiani non hanno dubbi: sono affascinati dalle realtà che pongono molta attenzione alla responsabilità sociale d’impresa. A rivelarlo è la 3° fase della ricerca Randstad Workmonitor – l’indagine trimestrale condotta dall’agenzia per il lavoro in 34 Paesi del mondo su un campione di 400 lavoratori di età compresa fra i 18 e i 65 anni. Ebbene: l’87% degli intervistati sostiene che lavorerebbe più volentieri in un’azienda che fa del CSR un vero e proprio cavallo di battaglia. E il 57%, invece, afferma che durante una ricerca di lavoro pone molto attenzione all’anima sociale dell’azienda prima dell’invio del curriculum vitae.
Sono i temi dell’inclusione, quindi, della diversity e della lotta alle diseguaglianze che spingono gli italiani a fare una scelta ben precisa in ambito lavorativo: la corporate social responsability rappresenta, infatti, uno dei driver che li guidano nella scelta di una realtà lavorativa. L’analisi di Randstad evidenzia come il Bel Paese si posizioni primo in Europa quando si parla di sensibilità CSR, quasi nove su dieci lavoratori si dichiara a favore. Gli altri Paesi, invece, si sono espressi così: • nel Regno Unito il 79% degli intervistati ha detto che preferirebbe lavorare in un’azienda che propone un adeguato programma di responsabilità sociale; • in Francia, il 78%; • in Spagna, il 77%; • in Germania, il 75%.
Collegato a questo desiderio, è la propensione degli italiani al volontariato. Sempre secondo il Randstad Workmonitor, tre italiani su quattro ritengono di fondamentale importanza aiutare gli altri attraverso attività di volontariato sociale. Solo un lavoratore su tre però lo pratica, a causa della mancanza di tempo. Ed è per questo motivo che il 75% degli intervistati afferma che se avesse dalla propria azienda permessi retribuiti si dedicherebbe di più a questo tipo di attività.
Lato datori di lavoro però le cose cambiano. Solo il 50% degli intervistati, infatti, dice che la propria azienda è sensibile alle tematiche di inclusione e diversity, con programmi concreti e strutturati di responsabilità sociale. La CSR è importante, non solo per stakeholders e clienti, ma anche per trattenere i migliori talenti, in un’ottica di employer branding.
“Dalla ricerca emerge un forte divario di attenzione e sensibilità all’inclusione fra i lavoratori, che addirittura la pongono come prerequisito per la scelta di un datore di lavoro, e le imprese, che soltanto nel 50% dei casi hanno una politica che valorizza diversity e inclusione”, commenta Marco Ceresa, Amministratore delegato Randstad Italia. “La presenza di un programma di responsabilità sociale d’impresa ben strutturato è un elemento che rende fortemente attrattive le aziende, eppure fra i principali paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito e Spagna) soltanto la Francia si mostra più in ritardo di noi su questo fronte (43%), segno che le imprese italiane devono investire maggiormente in efficaci piani di CSR per aumentare la loro capacità di attrarre e trattenere i migliori talenti sul mercato”.
Un quadro - quello italiano - non pessimo, ma che di certo si può migliorare, prendendo spunto, ad esempio, dalla Danimarca che risulta essere il Paese più virtuoso in questo senso. Il 43% dei lavoratori intervistati, infatti, si dedica al volontariato oltre l’orario d’ufficio, mentre il 70% delle realtà imprenditoriali sostiene una buona causa. E ancora: il 48% delle imprese prevede permessi retribuiti a chi fa volontariato e il 43% li offre per attività scelte dall’azienda stessa.
Più attenzione, quindi, ai temi di corporate social responsability per attirare risorse importanti e dare uno slancio al proprio business.
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