L’economia collaborativa viene applicata alle aree tradizionali del commercio, della produzione, della formazione e della finanza. Questi nuovi modelli di condivisione sociale fanno leva su risorse (tempo) e competenze sottoimpiegate e spesso distribuite tra i cittadini-consumatori (ora pro-sumer, meno consumatori e sempre più produttori) e, inevitabilmente, hanno un impatto crescente sullo statu quo.
I cambiamenti possono interessare vari settori e sono caratterizzati anche dall’ingresso di attori meno regolamentati. In tali condizioni andrebbero messe a fuoco le nuove responsabilità delle imprese e comprese - e condivise - le nuove modalità del lavoro interconnesso. Inoltre, sarebbe utile capire quali siano i modelli di convergenza tra pubblico e privato, tra no-profit e for benefit business.
Si portano questi esempi con cenni sui possibili cambiamenti:
- - Mobilità - Trasporto.
Dal car polling e car sharing alla condivisione del trasporto delle merci. Con impatto sui mezzi pubblici, sull’utilizzo di infrastrutture pubbliche (strade) e sulle nuove modalità assicurative.
- - Turismo.
Affitto di case e condivisione di pranzi. Impatto su alberghi, su zone residenziali della città e possibile accordi con il governo della città per rivalutare alcuni quartieri.
- - Coworking.
Riutilizzo degli spazi condivisi con condivisione delle professioni. Con impatto sulla mobilità e sulla sostenibilità tra modelli, magari con voucher pubblici a sostegno delle iniziative private.
- - FabLab - Manifattura distribuita.
Spazi per condividere macchine per produrre e riparare oggetti. Impatto su manifattura tradizionale, con micro reti di produzione, minori rifiuti urbani e nuovi prodotti personalizzati.
Di fronte a questa evoluzione, la PA è generalmente disallineata, lenta a reagire, con scarse competenze. Ma esistono alcune eccezioni in positivo, tra cui la città di Milano (vedere la tavola sottoriportatas tratta da una presentazione di Simone Cicero al Forum PA).
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