Da una indagine condotta su un campione di 100 manager HR aderenti alla Associazione di Direttori delle risorse umane GIDP, curata dal Prof. Luca Pesenti, docente di Organizzazioni Sociali e Welfare Plurale, Università Cattolica del Sacro Cuore.
L’indagine è stata realizzata nel febbraio 2015 su manager in prevalenza di aziende situate nel Nord Italia; per metà si tratta di aziende multinazionali con oltre 500 dipendenti, ma sono adeguatamente rappresentate anche imprese di minori dimensioni.
La "digitalizzazione del lavoro"è l'evoluzione del telelavoro e va ben oltre lo spot dello smartworking. Servono soluzioni utili sia al dipendente sia all'impresa, la quale, fornendo servizi per rispondere ai bisogni dei propri collaboratori li fidelizza, li motiva e ne diminuisce le assenze, a tutto vantaggio del clima aziendale e della produttività.
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La maggior parte delle aziende ha introdotto misure di welfare aziendale Tra gli interventi, oltre alle consuete misure relative ai pasti, molto diffusi sono i benefit sanitari (46%), la flessibilità oraria (45,9%) e le convenzioni per gli acquisti scontati (36,7%). Diffusi in modo minore, ma significativo, sono i permessi di cura, il telelavoro, le convenzioni con aziende di trasporto e i benefit per lo studio dei figli.
A cosa serve il welfare aziendale? Secondo i manager è utile soprattutto a ridurre la conflittualità e per migliorare il clima aziendale. Ma anche per contenere il tournover e ridurre l’assenteismo.
Cosa faciliterebbe una maggiore diffusione degli strumenti di welfare aziendale? Su questo punto i manager hanno le idee chiarissime: occorre semplificare la normativa: il 75% del campione ritiene che un aggiornamento delle norme fiscali sia “molto importante, Il 61% ha la stessa opinione rispetto alla disciplina giuslavoristica.
Per quanto riguarda il “fronte interno”, il vero plus strategico per lo sviluppo del welfare aziendale è individuato in una maggior attenzione alla persona come primo stakeholder dell’impresa. Ciò è ritenuto più rilevante rispetto alle pure necessarie attenzioni relative alla necessità di abbassare il costo del lavoro.
Quale sarà invece il ruolo delle relazioni industriali? Anche su questo punto c’è un consenso molto ampio su un punto specifico: quasi l’85% del campione ritiene che l’ambito ideale sarà rappresentato dalla contrattazione aziendale. Poco spazio per gli altri livelli di contrattazione: anzi, per il 55% del campione si dichiara d’accordo sulla possibilità di uno sviluppo esterno alla contrattazione. In conseguenza di ciò, gli intervistati ritengono che i principali attori dello sviluppo del welfare aziendali saranno le grandi imprese, i provider privati di servizi, le associazioni datoriali e dei manager. Poca speranza è invece rivolta verso gli Enti Locali: per loro, nessun ruolo specifico.
Le proposte dei manager intervistati sono così riassumibili:
- Ampliare il tipo di bisogni cui si può rispondere con i servizi di welfare aziendale: è la prima scelta per quasi il 25% degli intervistati, e in totale segnalate dal 41% del campione.
- Innalzamento dell’attuale valore di deducibilità dei costi sostenuti dall’impresa, con riferimento agli oneri di utilità sociale previsti dall’art.100 del TUIR: è la prima opzione per il 21% del campione, e anche in questo caso è stata scelta complessivamente dal 41% degli intervistati.
- Stabilire un plafond massimo in cui comprendere tutti i benefit aziendali di welfare: si dichiara d’accordo quasi il 90% del campione.
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