IBM ha comunicato un’importante operazione di concentrazione delle proprie attività di marketing in Usa: affinché i suoi impiegati siano più produttivi occorre che essi lavorino in un nuovo ambiente creativo, che favorisca la giusta ispirazione.
Per anni IBM era stata precorritrice dell’home working, prima, e dello smart working, poi. Ora, che non basta aumentare la produttività, ma occorre affrontare una strada che accompagni lo sviluppo delle attività di AI e Cloud, IBM decide di avviare un nuovo tipo di organizzazione. Si fa riferimento ad uno studio Harvard, secondo il quale le condizioni per ottenere migliori risultati sono quelle di concentrarsi sul miglioramento di una sede lavorativa e di favorire gli incontri tra colleghi. In tale ottica si dovrebbero favorire gli insediamenti accanto all’azienda e lo stesso layout dell’azienda dovrebbe cambiare tanto da permettere ai dipendenti di fare sport, leggere e riposarsi.
Queste considerazioni ricordano il Villaggio Crespi d'Adda (BG), una vera e propria cittadina costruita agli inizi del novecento dal proprietario per i suoi dipendenti e le loro famiglie. Ai lavoratori venivano messi a disposizione una casa con orto e giardino e tutti i servizi necessari. In questo piccolo mondo il padrone "regnava" dal suo castello e provvedeva come un padre a tutti i bisogni dei dipendenti: dentro e fuori la fabbrica. Nel Villaggio potevano abitare solo coloro che lavoravano nella fabbrica, e la vita di tutti i singoli e della comunità intera "ruotava attorno alla fabbrica stessa", ai suoi ritmi e alle sue esigenze. Il Villaggio industriale Crespi si è conservato straordinariamente integro fino ai giorni nostri. La veduta è del 1927: oggi nulla è cambiato, salvo che le attività tessili della fabbrica non sono più operative.
Ma ritorniamo alle scelte di IBM, che qualcuno ha voluto contrapporre al modello smart working. Ricordiamo che lo scopo di quest’ultimo è essenzialmente quello di lavorare in modo flessibile, incrementare la produttività e cercare la conciliazione dei tempi della vita personale e del lavoro. La prestazione viene eseguita in parte all’interno dei locali aziendali senza una postazione fissa, in parte all’esterno dell’azienda, entro la durata dell’orario di lavoro derivante da un contratto di lavoro subordinato.
Va subito notato che, non solo nel caso IBM, l’applicazione dello smart working quasi mai può raggiungere la totalità dei dipendenti di un’azienda. Le esigenze di ciascuna azienda sono molto varie e non si può sempre affermare che lo smart working sia una scelta vincente.
Premesso che bisogna capire quale è la situazione dell’organizzazione, - sia per quanto riguarda il livello di responsabilizzazione dei dipendenti, - sia per la capacità dei capi di gestire il rapporto con i loro collaboratori per obiettivi.
Poi, serve conoscere gli obiettivi che un’azienda vuole perseguire e su quali unità dell’organizzazione decide di muoversi con priorità. Si suggerisce di ragionare su due possibili scelte, ponendosi dal punto di vista dei collaboratori:
- poter partecipare meglio alla vita dei gruppi di lavoro, anche virtuali, non pianificati e allargati alla filiera del business;
- poter godere dei vantaggi del work-life balance, ad esempio nei trasferimenti casa-ufficio.
Un adeguato bilanciamento farà emergere il modello da applicare unità per unità e nel tempo.
Se lo smart working non è la soluzione per tutte le stagioni, è anche vero che la sua applicazione è un esercizio importante per innovare le nostre aziende. Anche dal punto di vista della adozione dei servizi tecnologici, in particolare quelli UCC.
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