Nel corso della presentazione della ricerca dell’Osservatorio del Politecnico di Milano il tema smart working è stato osservato da varie prospettive. Il fenomeno è presente soprattutto nelle realtà più evolute, quelle delle multinazionali e delle aziende del nord Italia.
I lavoratori interessati sono passati dal 5% nel 2013 al 7% nel 2016. Si stimano 250mila smart worker in Italia. Età media 41 anni (abbastanza elevata). In prevalenza si tratta di impiegati e middle manager. Solo nel 25% di aziende del campione coinvolte dalla ricerca il progetto si può considerare esteso ed in fase di perfezionamento.
Le principali leve che promuovono le iniziative di lavoro agile sono il lavoro santuario a casa e la flessibilità dell’orario di lavoro. Invece, meno rilevanti si dimostrano il lavoro presso altre sedi aziendali o presso coworking e la riprogettazione del layout degli uffici. La governante dei progetti nell’83% dei casi è responsabilità della funzione Risorse Umane, con coinvolgimento quasi sempre sistematico della direzione IT, che nel 31% dei casi disponde di un budget di sua competenza per il progetto.
Tra le aree di mercato che ancora non sono state completamente interessate dallo smart working vi sono le PMI e la PA, ove sembra che si nascondano le maggior potenzialità, ma dove si riscontrano anche le maggiori resistenze all’adozione.
Particolari considerazioni possono venire dal sondaggio, condotto tra le circa 400 persone presenti in sala, su quali sono gli ostacoli che impediscono la crescita dello smart working in Italia (vedere immagine).
Il 62% ha risposto la cultura ed il 28% i manager. Premesso che il campione dei rispondenti è composto prevalentemente di addetti ai lavori appartenenti ad aziende del nord Italia, si nota che il “nemico dello smartworking” sta nella cultura di tutti noi e di chi deve decidere. Da notare che solo il 3% ha segnalato i sindacati. Si tratta di capire se ciò è dovuto alla decrescente rappresentatività sindacale o alla convinzione che le rappresentanze sindacali sono favorevoli alle nuove flessibilità dello smart working. Molto poco segnalata (5%) risulta l’assenza di competenze digitali. Aspetto su cui, a nostro avviso, non si concentra l’attenzione in quanto si tende a sottovalutare la forte discontinuità collegata all’avvento della tecnologia digitale.
Le vere organizzazioni smart richiederanno particolare attenzione alle soft skill dei loro adddetti (vedere immagine). Una interessante parte dell’analisi dell’Osservatorio prende in esame queste capacità raggruppate in quattro diverse famiglie con relative definizioni. Sarebbe utile leggere bene tali definizioni per pensare a come si presenta la propria organizzazione:
- Sense of Community Altruism. Fornisco sempre il mio aiuto ai colleghi anche senza una richiesta esplicita. Organization Intelligence. Individuo velocemente le persone di riferimento per creare le relazione e scambiare le informazioni utili.
- Empowerment Goal Centric Thinking. Organizzo sempre le mie attività e le pianifico in modo ottimale per raggiungere obiettivi con una visione a medio lungo termine. Proactivity. Sono sempre disposto a prendere delle decisioni autonomamente quando è necessario per ottenere dei risultati o evitare/anticipare i problemi.
- Flexibility Work-Life integration. So pianificare e gestire il mio lavoro in modo responsabile tenendo conto delle mie esigenze professionali e personali. Resilience. So sempre far fronte ottimamente agli imprevisti sapendo riorganizzare le mie attività a seguito di difficoltà o cambiamenti.
- Virtuality Virtual Communication. So comunicare efficacemente, coordinare progetti e gestire il mio profilo negli ambiti digitali professionali. Knowledge Networking. So sempre individuare, recuperare, informazioni precise e organizzarle e condividerle velocemente in ambienti virtuali.
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