Le attività organizzate in modalità collaborativa stanno prendendo il sopravvento sul posto di lavoro. Il business diventa sempre più globale e cross-funzionale, la connettività è in aumento, il lavoro di gruppo è visto come una chiave per il successo organizzativo. Nel corso degli ultimi due decenni il tempo trascorso da manager e collaboratori in attività di collaborazione è aumentato più del 50%.
Questa è la riflessione con cui si apre l’articolo ”Collaborative Overload” scritto da Rob Cross, Reb Rebele e Adam Grant e comparso sul numero di gennaio-febbraio 2016 della Harvard Business Review. Una ricerca condotta su più di 300 organizzazioni dimostra che la distribuzione del lavoro di collaborazione è spesso estremamente disomogenea. Nella maggior parte dei casi, dal 20% al 35% del valore aggiunto correlato alla collaboration proviene dal 3%-5% dei dipendenti. Le persone a cui si riconosce la capacità di essere pronti a collaborare sono coinvolte in progetti e ruoli di crescente importanza. La loro mentalità e il desiderio di aiutare gli altri migliora le loro prestazioni e la loro reputazione.
Ma ciò che inizia come un circolo virtuoso può ben presto trasformarsi in un circolo vizioso e i dipendenti più collaborativi spesso diventano colli di bottiglia. Il lavoro non progredisce, essi sono così oberati e poco produtivi. E il più delle volte, il volume e la diversità del lavoro che condividono con gli altri passano inosservati, perché le richieste sono provenienti da altre unità, uffici vari, o anche aziende esterne. Infatti, quando si usano strumenti di network analysis per identificare i collaboratori più forti nelle organizzazioni, gli stessi leader restano sorpresi da almeno la metà dei nomi inseriti nelle loro liste. Seguendo tale metodologia di ricerca della collaborazione, abbiamo inavvertitamente creato mercati aperti e con costi nascosti. Cosa possono fare i leader per gestire queste situazioni in modo più efficace? E' importante distinguere tra i tre tipologie di "risorse di collaborazione" che ogni dipendente può investire su altri colleghi per creare valore: informative, sociali e personali. Le risorse informative sono conoscenze e know-how che possono essere registrati e trasmessi. Le risorse sociali coinvolgono la consapevolezza e la posizione nel network, che possono essere usate per aiutare colleghi a collaborare meglio tra di loro. Le risorse personali includono il proprio tempo e la propria energia.
La ricerca “In Demand, Yet Disengaged” (vedere tavola) mostra come le persone considerate come i migliori per le fonti di informazione e con maggiori richieste di collaborazione nelle loro aziende hanno il più basso indice di coinvolgimento e di soddisfazione in carriera (dimensioni grafiche delle bolle). La ricerca dimostra che a queste persone non resta che lasciare le loro organizzazioni (portando con loro risorse di rete e conoscenze) o restare e diffondere la loro crescente apatia ai colleghi.
Qualsiasi sforzo per aumentare l'efficienza della collaborazione in azienda dovrebbe iniziare con una comprensione della domanda e dell'offerta esistente. Ad esempio, Do.com controlla i calendari e fornisce report giornalieri e settimanali - per singoli dipendenti e manager - sul tempo trascorso in riunioni rispetto al tempo di lavoro in concentrazione. L'idea è di identificare le persone che sono più a rischio di sovraccarico di collaborazione.
Una volta che ciò è stato fatto, è possibile concentrarsi su tre leve.
- Incoraggiare il cambiamento comportamentale. Insegnare ai più attivi come filtrare i sovraccarichi e come dare priorità alle richieste; dare loro la possibilità di dire di no o di assegnare solo la metà del tempo richiesto; e incoraggiarli a condividere la problematica con qualcun altro, quando la richiesta non prevede uno specifico ed unico contributo.
- Sfruttare la tecnologia e il layout per rendere più accessibili e trasparenti le risorse informative e sociali. Sono esempi Slack e Chatter di Salesforce.com e VoloMetrix (Microsoft), che aiutano gli individui a valutare le reti e a prendere decisioni informate sulle attività di collaborazione. Uno studio condotto dalla Boston University documenta gli effetti negativi delle riunioni di gruppo e delle e-mail sullo sviluppo e sul mantenimento di relazioni produttive.
- Prendere in considerazione cambiamenti strutturali. Si possono anche spostare i poteri decisionali delle persone ritenute più appropriate nella rete.
La condivisione efficiente delle risorse informative, sociali e personali, dovrebbe anche essere un prerequisito per valutazioni positive, promozioni e aumento di stipendi. Nel caso di una banca d'investimenti, analisi delle prestazioni annuali dei dipendenti includono feedback da un gruppo eterogeneo di colleghi, e solo quelle persone che sono classificate come collaboratori forti (cioè, in grado di fare cross-selling e fornire valore al cliente finale) vengono considerate per promozioni, per bonus e piani di fidelizzazione.
Ma, come afferma l’articolo di “The collaboration curse” pubblicato su The Economist, c’è rischio che il fenomeno sia di moda, e si trascuri di considerare che certe attività necessitano di una elevata concentrazione. Sono i “lavoratori della conoscenza” ad interpretare diversamente lo smartworking, riducendo lo spazio dedicato agli incontri (specie i meeting virtuali) e limitando l’uso dei device che permettono di essere sempre raggiungibili. Queste persone dimostrano che la collaborazione e il lavoro in multitasking possono impedire di raggiungere gli obiettivi di tempo e di qualità. Le organizzazioni non devono solo pensare a promuovere la collaborazione, ma debbono anche incentivare l’uso di spazi fisici e temporali al fine di consentire ai collaboratori di concentrarsi.
Leggere ”Collaborative Overload”
Leggere "Collaboration curse"
Leggere “Collaborare è una noia mortale e azzera la produttività”
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