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Report mensile Ifiit - gennaio 2016

Martedì 12 Gennaio 2016 18:59

Parte in crescita l’indice Ifiit a gennaio e si porta a 35,50 punti dai 35,10 del mese precedente, che aveva a sua volta fatto segnare una battuta d’arresto rispetto a novembre, mese in cui si era toccato il massimo di medio periodo (35,80 punti).

Quadro di sintesi dei dati rilevati nel mese
Il mondo imprenditoriale sembra mostrare consenso sulla presa in esame di nuovi progetti innovativi, anche se permane lo scetticismo sulla tenuta della ripresa e sulla capacità di erogare prestiti da parte del mondo bancario.
In recupero la propensione ad investire anche nel segmento delle piccole e delle medie imprese, tonificate da un timido rilancio dei consumi interni.
I settori automobilistico, quello avionico e quello della difesa sono i tre comparti maggiormente fiduciosi nella logica di un irrobustimento dei finanziamenti per l’innovazione, sia di processo e sia di prodotto.
Restano stabili alcuni comparti tradizionali come il metalmeccanico, la moda e il legno-arredamento. Contrastato appare il comparto agro-alimentare, più vivace nelle regioni del Centro e del Centro-Nord rispetto alle aree del meridione.
Invariata la propensione del segmento bancario-assicurativo, dove però alcuni istituti stanno avviando progetti di implementazione dei servizi.
In calo i comparti tessile e della chimica, che si mantengono tuttavia poco sotto il valore medio dell’indice generale.
Permangono le debolezze nei segmenti del commercio, dell’edilizia e del turismo.
A livello geografico, è sempre la la Lombardia al vertice della classifica per la propensione ad investire in innovazione, seguita da Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto.
La maggior parte della base imprenditoriale (circa il 70% degli intervistati) ritiene ancora alto il divario tra l’esperienza digitale italiana e quella dei paesi più industrializzati.
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bullet arancio 2015: l’anno della svolta?

Con la fine dell’anno, è utile un primo bilancio del 2015 per l’economia italiana. L’anno che si conclude segna la fine di una lunga fase di recessione. E’ il primo, dopo sette anni, in cui il potere d’acquisto delle famiglie registra una variazione positiva, associata a un graduale consolidamento del ciclo dei consumi. La spesa delle famiglie ha beneficiato, come in altri paesi, della caduta del prezzo del petrolio, mentre il ciclo delle esportazioni ha iniziato a vacillare da metà anno, seguendo un contesto internazionale meno dinamico.
Il 2015 è stato anche il secondo anno di crescita dell’occupazione, anche se l’incertezza sulle statistiche (e la loro continua revisione) non consentono ancora un giudizio univoco sulla tendenza, e aprono a forti elementi di incertezza sul 2016, una volta ridimensionatosi il vantaggio fiscale per le nuove assunzioni.
La crescita del 2015 è risultata nel complesso non distante dalle attese che a inizio anno erano state formulate dai maggiori centri di previsione. Ciò nonostante le polemiche sono state molto vivaci perché del tema degli errori di previsione si è appropriato il dibattito politico. L’impatto mediatico dell’enfasi sul tema della ripresa non garantisce però effetti di contagio sulle aspettative degli operatori, e men che meno la possibilità di modificarne i comportamenti

(dal bollettino di Ref Anno XXII - numero 22 del 18 Dicembre 2015)


bullet arancio Cresce l’export dei distretti (+3,6%) nel terzo trimestre ma rallentano gli investimenti

Intesa Sanpaolo ha pubblicato il Monitor dei distretti relativo alle esportazioni del terzo trimestre del 2015, da cui emerge un quadro estremamente positivo. Negli ultimi tre mesi dell’anno l’export dei 143 distretti industriali monitorati da Intesa Sanpaolo ha registrato un nuovo aumento (+3,6%). Si tratta del 23° trimestre di crescita consecutivo. Complessivamente, nei primi nove mesi del 2015 le esportazioni dei distrettihanno mostrato una crescita del 4,3%, un punto percentuale in più rispetto alle aree non distrettuali negli stessi settori di specializzazione (+3,3%).
Si conferma dunque alta la competitività dei distretti industriali italiani, che sono riusciti a
superare brillantemente un trimestre estivo denso di difficoltà per il commercio mondiale.
Si sono messi in evidenza i distretti specializzati in prodotti e materiali da costruzione
(+10,3% la variazione tendenziale del terzo trimestre), nel mobile(+9,2%) e anche nell’agroalimentare(+8%). Queste filiere hanno ritrovato slancio sui mercati internazionali conperformance decisamente migliori rispetto ai competitor tedeschi.
E’ stato brillante l’andamento di alcune importanti aree distrettuali, con in testa il legno-arredo della Brianza, le piastrelle di Sassuolo e l’ortofrutta del barese, ai primissimi posti percrescita in valore assoluto delle esportazioni distrettuali.

Un’importante novità è rappresentata dall’accelerazione dei distretti della meccanica, in
progresso del 6,5%, grazie agli ottimi risultati riportati in alcuni mercati avanzati (Stati Uniti,
Spagna e Germania) e in alcuni importanti nuovi mercati (Messico, India, Vietnam, Emirati
Arabi Uniti). Spiccano le performance della metalmeccanica di Lecco, della meccatronica del barese, della meccanica strumentale di Varese e di Vicenza.
Hanno, invece, accusato un brusco rallentamento i distretti del sistema moda, penalizzati dal crollo della domanda russa che sta colpendo soprattutto il comparto calzaturiero. Fermo, Riviera del Brenta e San Mauro Pascoli sono tra i distretti più colpiti dalla crisi russa.
Migliore appare l’andamento delle altre filiere della moda, con l’oreficeria di Valenza che
si conferma miglior distretto per crescita in valore assoluto delle esportazioni e l’occhialeria di Belluno che guadagna nuove quote di mercato negli Stati Uniti e prosegue la sua rapida
affermazione sul mercato cinese. I distretti del Mezzogiorno restano in questa fase l’area più dinamica del paese (pur avendo una limitata presenza distrettuale), mostrando un aumento tendenziale delle esportazioni pari all’8,3%, più del doppio rispetto alla media italiana, analogamente a quanto avviene a livello di complesso dell’economia meridionale.
Per intensità e volumi di crescita spiccano l’ortofrutta del barese, la mozzarella di bufala campana e la meccatronica del barese che, nonostante la presenza di fattori di contesto esterno sfavorevoli, sono riusciti a far leva su un ricco patrimonio eno-gastronomico e, nel caso della meccatronica, sulla presenza di importanti multinazionali tedesche e di un grande gruppo italiano. Questi distretti sono stati capaci di intercettare la ripresa della domanda europea (soprattutto in Germania, Francia, Spagna e Regno Unito) e, nella meccanica, sono riusciti ad accrescere la loro presenza negli Stati Uniti, in India, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, dimostrando di essere ben inseriti nelle catene mondiali del valore.

A livello complessivo gli Stati Uniti si sono confermati il motore della crescita dei distretti:
su questo mercato nel terzo trimestre del 2015 l’export distrettuale è salito a 2,1 miliardi di euro, 280 milioni in più rispetto al corrispondente periodo del 2014 (+15,3%).
Si è, inoltre, consolidata la ripresa in alcuni importanti mercati europei, come il Regno Unito e la Spagna. La principale novità è però rappresentata dal balzo delle vendite in tre primari mercati emergenti: gli Emirati Arabi Uniti, l’India e la Cina. Spiccano, in particolare, i risultatipositivi ottenuti sul mercato cinese, in controtendenza rispetto alla media manifatturieraitaliana. L’export distrettuale in Cina, infatti, ha ripreso a crescere a tassi sostenuti, spinto dai settori agro-alimentare, moda e casa e non più penalizzato dalla meccanica. Al contrario, le esportazioni complessive italiane in Cina hanno continuato a ridursi, risentendo della debolezza degli investimenti cinesi e, in parte, della svalutazione dello yuan.
Il quarto trimestre del 2015 dovrebbe chiudersi in lieve accelerazione per l’export distrettuale. Sono queste le indicazioni che emergono dal portafoglio ordini delle imprese. L’export distrettuale è atteso registrare un aumento intorno al 4% nel 2015, in linea con quanto osservato nel 2014.
Nel 2016 le esportazioni dei distretti dovrebbero mostrare un ritmo di crescita sostanzialmente in linea o di poco superiore a quello osservato nell’ultimo biennio. La crescita mondiale è, infatti, attesa solo in lieve accelerazione, grazie alla spinta della domanda interna dei paesi avanzati e al superamento della fase più critica per alcune economie emergenti (Cina e in parte Russia).
I distretti manterranno una migliore dinamica rispetto alle aree non distrettuali, favoriti anche da una maggiore presenza nei mercati più dinamici (Stati Uniti ed Emirati ArabiUniti, ma anche Cina) che andrà a compensare l’esposizione più pronunciata in Russia (dove comunque la fase peggiore dovrebbe essere alle spalle). Molto però dipenderà dall’evoluzione della domanda in Germania e Francia che restano i primi due sbocchi commerciali dei distretti. I consumi di questi due mercati continueranno acrescere a buoni ritmi per effetto del calo del prezzo del petrolio e di condizioni finanziarie molto favorevoli. Rimane, invece, incertezza sulle prospettive di crescita degli investimenti.
(dal Monitor sui Distretti Industriali italiani di Intesa Sanpaolo, 21 dicembre 2015)



bullet arancio Il rapporto tra debito e equity delle start up innovative
Una ricerca sulle 5 mila società high-tech
Sono 4.704, impiegano quasi 5 mila persone e sono formate da quasi 17 mila soci, nel 45% dei casi c’è almeno una donna nel team, nel 40% c’è almeno un under 35 e nel 12% c’è almeno uno straniero: sono le startup innovative italiane. La Divisione ricerche Claudio Dematté di SDA Bocconi le ha fotografate e ne ha analizzato le performance in uno studio in collaborazione con Bayer e con il supporto di Caleido Group. Performance che sono, in media, caratterizzate dal segno meno quando si guarda alla redditività, ma che evidenziano anche un potenziale di crescita non ancora espresso.

Innanzitutto la fotografia. L’elaborazione di SDA Bocconi (su dati InfoCamere) mostra imprese caratterizzate da grande diversity: di età (nel 24% dei casi il team è composto per la maggior parte di giovani), di genere (il 13% dei team è a prevalenza femminile) e di provenienza.

Delle 4.704 imprese, poi, SDA Bocconi ha analizzato un campione di 2.865 aziende (il 61%). Si tratta di imprese perlopiù concentrate in Lombardia (il 23% del totale), in Emilia-Romagna (12%) e nel Lazio (10%), con Milano e Roma in testa tra le province (14,7% e 8,5%, rispettivamente, sul totale di imprese). Sono imprese fortemente concentrate a livello settoriale, con il 42% che opera nell’informatica e internet e il 20% nei settori denominati ‘lifesciences’ (agroalimentare, chimica, farmaceutica, ambiente, etc).

Riguardo ai risultati economici, i dati elaborati da SDA evidenziano che le startup innovative appaiono come società di ridotta dimensione ma in crescita continua. “Si tratta di imprese che, in media, negli anni successivi alla costituzione (l’orizzonte temporale che abbiamo valutato è di quattro anni) incrementano il livello dei propri ricavi, sono attive sul mercato e vedono crescere le proprie vendite, tuttavia non riescono a trasformare questi risultati in una redditività operativa positiva” spiega Maurizio Dallocchio, ordinario di finanza in Bocconi e coordinatore della ricerca.
Nonostante le imprese del campione vedano salire in media i ricavi da poche migliaia a quasi 250 mila euro l’anno al quarto anno, i principali indici di redditività sono in terreno negativo e, sempre in media, appaiono nel breve-medio periodo in costante necessità di nuove risorse, tanto dal punto di vista del capitale di debito, quanto dal punto di vista dell’equity. Tuttavia, dietro i risultati negativi, c’è anche un potenziale ancora inespresso.

Questo aspetto emerge con evidenza quando vengono scorporati i dati medi, dividendo tra imprese in utile e imprese in perdita. Queste ultime hanno un patrimonio netto che al quarto anno è tre volte quello delle imprese in utile (300 mila contro 100 mila euro in media) e indebitamenti bancari a breve e lungo periodo di 2-2,5 volte. Le imprese in utile sembrano avere una crescita più bilanciata tra debito ed equity e indicatori di redditività positivi e stabili già poco dopo il momento di costituzione. Per le imprese in perdita la struttura finanziaria è da considerarsi comunque entro valori fisiologici, come mostra l’evoluzione del rapporto tra debito ed equity, che nei quattro anni si mantiene in un range di valori compreso fra 1 e 2.

Soprattutto, le imprese in perdita mostrano un valore degli asset immateriali decisamente maggiore rispetto a quelle in utile: a cinque e sei anni dalla nascita tale valore è rispettivamente 3 e 1,7 volte quello delle altre società.

Ma proprio l’alto valore degli intangibili, espressione di una fase di investimenti che mina la redditività nel breve periodo, allo stesso tempo può rappresentare un potenziale futuro ancora inespresso, come mostra la redditività in recupero all’avvicinarsi della conclusione del ciclo di vita denominato startup.

“Lo sviluppo di queste aziende”, conclude Dallocchio, “risiede nelle competenze e negli investimenti, ma anche nella capacità di intraprendere un percorso di crescita bilanciato. Il ruolo degli incubatori è fondamentale in tal senso. Ciò che può creare le condizioni per un reale sviluppo di Sistema è la capacità di diversificare i settori: esistono nuovi bisogni a cui rispondere e servono nuove idee per soddisfare o addirittura anticipare questi bisogni”.
(dalla Ricerca “Le 5 mila start up italiane”, a cura di SDA, Bayer, Caleido Group, dicembre 2015)


bullet arancio Fotografia dell’internazionalizzazione

Le multinazionali italiane all’estero
Nel 2013, solo lo 0,5% delle imprese italiane aveva una sede all’estero ed offriva un’occupazione equivalente al 10,7% di quella presente in Italia, realizzando il 15% del fatturato conseguito sul territorio nazionale. Limitatamente alle imprese industriali, quelle con stabilimenti all’estero erano l’1,8% e garantivano l’occupazione ad un numero di persone equivalente al 23% degli addetti nazionali. Il peso del fatturato delle filiali estere era il 23,8% di quello complessivo.
Rispetto al 2012, il numero delle imprese che hanno un’attività all’estero è aumentato dello 0,8%. Sono aumentate in particolare le imprese industriali (+3,9) e quelle dei servizi non finanziari (+0,2). Sono diminuite quelle impegnate nelle costruzioni (-2%) e quelle dei servizi finanziari (-7,4). Nel complesso, l’occupazione estera è aumentata del 0,6%.
La dimensione media delle aziende italiane all’estero è di circa 80 addetti, che sale a 120 per quelle industriali e a 135 per quelle dei servizi finanziari. Scende a 85 per le imprese di costruzioni e a 47 per i servizi non finanziari.

Il costo del lavoro delle imprese manifatturiere italiane all’estero
Quindici paesi accolgono il 71,6% delle filiali estere delle imprese manifatturiere italiane. Il costo annuo per addetto di questi 15 paesi è mediamente di 29.278 euro (+4,3% sul 2012). In Italia, nel 2013, il costo del lavoro per dipendente era di 40.482 euro (il 38% in più della media dei 15 paesi esteri).
Tra i principali paesi in cui si sono insediate le aziende manifatturiere vi è la Romania, con il 15,5% degli stabilimenti manifatturieri italiani all’estero e il 9,6% dell’occupazione, grazie ad un costo del lavoro per addetto di poco superiore a 7.900 euro annui (+13,1% sul 2012).
La Cina ospita l’8% delle aziende italiane all’estero e il 9,4% dei dipendenti, con un costo del lavoro per addetto annuo analogo a quello rumeno, sebbene nel corso del 2013 sia aumentato del 22,4%.
In Brasile si sono insediate il 5% delle aziende manifatturiere italiane all’estero ed offrono lavoro al 10,2% del personale occupato all’estero dalle nostre imprese. Il costo del lavoro per dipendente è in media di 22.972 euro.
In sostanza, dieci dei 15 paesi hanno un costo del lavoro inferiore a quello italiano ed ospitano quasi il 43% delle aziende manifatturiere che hanno un’attività all’estero, dando lavoro a più del 46% di quanti sono stati assunti dalle imprese italiane.
Infine, il costo del lavoro italiano è più basso rispetto a quello francese (56.600 euro), a quello degli Stati Uniti (quasi 56mila euro), della Germania (53.265) e del Regno Unito (quasi 46.700 euro). Anche quello spagnolo (44.320) supera di quasi il 10% il costo del lavoro medio per dipendente sostenuto in Italia dalle aziende manifatturiere nel 2013.
(dalle statistiche dell’Istat, dicembre 2015)


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Ifiit è l’Indice di Fiducia sugli investimenti in innovazione tecnologica, accreditato presso il Ministero dello sviluppo economico e l’Agenzia dell’Innovazione.
IfiitMonthly Report è una sintesi di un’attività di ricerca sulla fiducia in investimenti tecnologici che mensilmente viene effettuata su un campione qualificato e rappresentativo dell’economia italiana.
Lo staff di Ifiit, un network di ricercatori volontari, si avvale di un Focus Group, costituito in prevalenza da operatori qualificati e da esperti accademici, per l’interpretazione dei dati e delle tendenze. Per le sue caratteristiche di indice di fiducia, Ifiit si presta ad essere consultato anche come strumento previsionale dei cicli economici.
Indice Ifiit Via Pisanello 8 20146 Milano
Supervisor Paolo Gila

Ultimo aggiornamento Martedì 12 Gennaio 2016 19:11